venerdì 9 settembre 2011

La festa nella festa


Nella mia famiglia le patate lesse erano considerate una vera e propria tragedia. Mio padre e mio nonno ne avevano mangiate a quintali negli anni della guerra ed i loro racconti le avevano fatte diventare indigeste a tutti noi. Ma quando nonna Gerbina la domenica, appena alzata, metteva le patate a lessare, nessuno si preoccupava: quella sarebbe stata una domenica speciale e per me una festa nella festa.

Aspettavo con trepidazione la fine della cottura. La nonna non diceva niente ma sapevo che avrebbe avuto bisogno di me. E quel momento sarebbe presto arrivato. Seguivo Gerbina in tutti i suoi movimenti cercando di non intralciarla. Una volta cotte, le patate dovevano raffreddare ed io, di nascosto, ci soffiavo sopra per accelerare i tempi. Quando Gerbina brandiva finalmente il coltello, quello era il segnale che la parte più noiosa di tutte le operazioni era terminata. Il mio lavoro stava per iniziare. Prendevo il passatutto e macinavo le patate che la nonna mi passava dopo aver pelato ad una ad una.

Finita questa prima fase la nonna diventava di nuovo la protagonista assoluta della mattinata. Era il momento più delicato: quello della preparazione dell'impasto. Le sue mani fragili, affusolate e piccolissime lavoravano con un'energia inaspettata. Io osservavo con apprensione, il cuore che accelerava ad ogni giro della pasta, mentre le sue dita sembravano spezzarsi da un momento all'altro. L'impasto invece prendeva lentamente forma, diventava omogeneo, si ammorbidiva al punto giusto. Trascorsi 10 minuti che sembravano un'eternità, l'impasto era finalmente pronto. Solo allora riprendevo a respirare regolarmente. La nonna, che aveva avvertito la mia tensione, si avvicinava e mi lasciava una carezza sulla guancia.

Era arrivato finalmente il momento in cui i topini avrebbero preso vita. Ancora una volta io e la nonna lavoravamo in perfetta sintonia. Lei prendeva un pezzo di impasto, lo modellava formando una specie di serpentello, lo tagliava a tocchettini e lasciava a me la magia finale. Prendevo ogni singolo pezzetto e spingendo un dito nel centro ottenevo la classica forma. Poi adagiavo uno per uno i topini ormai pronti sulla tavola di legno. Alla fine, entrambi soddisfatti, guardavamo compiaciuti il risultato del nostro lavoro.

A pranzo avrei ricevuto gli immancabili complimenti di nonna Gerbina e le sue affettuose parole, davanti a tutta la famiglia, sarebbero state per me la vera festa.



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